Se a fine 800, la selezione e diffusione dei portainnesti “su piede americano” ha salvato il vigneto europeo dalla fillossera
avviando quella che chiamiamo “viticoltura moderna”, oggi, a distanza di oltre un secolo, una nuova, originale, ricerca tutta
italiana sta aprendo la nuova era della “viticoltura post-moderna”.
Al centro dell’attenzione sempre i portainnesti che, dopo oltre 100 anni dagli ultimi lavori scientifici sul tema, tornano al
centro di una ricerca attivata dall’Università di Milano i cui risultati aprono alla viticoltura frontiere di sviluppo fino a
ieri inaspettate inaugurando, nel contempo, un innovativo modello di rapporti tra ricerca e innovazione, università e mondo del
le imprese.
“La crescente incidenza delle fitopatie – dichiara Attilio Scienza, animatore del progetto di ricerca – i cambiamenti del clima
e le loro conseguenze, da un lato, sulla necessità di crescenti quantità di acqua per la coltivazione della vite e, dall’altro,
l’estendersi dei fenomeni di salinità dei suoli, la necessità di ridurre e ottimizzare l’impiego dei fertilizzanti e, ancora, la
diffusione della viticoltura in ambienti climaticamente molto diversi da quelli europei, nonché le nuove esigenze di qualità
da parte del consumatore, stanno evidenziando la sostanziale inadeguatezza dei portainnesti tradizionali ponendo la necessità di
creare nuovi genotipi con caratteristiche migliori di resistenza agli stress biotici e abiotici”.
Nonostante la consapevolezza dell’importanza della scelta del portinnesto per l’adattamento delle piante alle diverse condizioni
ambientali e quindi per la buona riuscita di un vigneto, la ricerca in questo campo si era sostanzialmente fermata agli inizi
del 900, tempi in cui l’obiettivo principale del miglioramento genetico era la resistenza alla fillossera, al quale si sono
aggiunti successivamente obiettivi di resistenza al calcare ed alla siccità.
Ancora oggi sono largamente utilizzati alcuni portinnesti selezionati tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento,
nonostante la viticoltura nel tempo si sia radicalmente trasformata.
La frenetica attività di miglioramento genetico che si sviluppò a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, incalzata dalla necessità
di ottenere rapidamente dei portinnesti resistenti alla fillossera
e tolleranti al calcare attivo presente in quantità elevate in molte zone viticole europee, puntò su poche specie pure e,
all’interno di queste, utilizzò solo qualche individuo tralasciando di valutare la grande variabilità che ogni specie presentava.
Nella valutazione dei portinnesti che venivano via via proposti per il rinnovo dei vigneti, si teneva naturalmente conto delle
caratteristiche della viticoltura del tempo spesso consociata, strutturata cioè con tutori vivi o caratterizzata, al contrario,
da alte fittezze d’impianto e quindi con basse produzioni/ceppo.
Oggi, le diverse esigenze espresse da nuovi modelli viticoli, le conseguenze determinate dal cambiamento climatico sulla
fisiologia della pianta e l’estendersi di fenomeni di salinità dei suoli, hanno evidenziato la sostanziale inadeguatezza dei
portinnesti tradizionali e la conseguente necessità di creare di nuovi genotipi aventi altre caratteristiche di resistenza.
Al miglioramento delle doti di adattamento è inoltre necessario associare al portainnesto anche la capacità di ridurre gli input
energetici quali l’impiego di fertilizzanti, ed acqua di irrigazione, rispondendo alle esigenze dei viticoltori che richiedono
una viticoltura a maggior sostenibilità ambientale e minori costi di gestione.
Per tutte queste ragioni, agli inizi degli anni ’80 un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano coordinati dal prof.
Attilio Scienza, avvia una ricerca orientata ad ottenere portainnesti migliorativi rispetto a quelli utilizzati capaci di tollerare
la siccità e resistere ad elevati tenori di calcare attivo nel terreno, raggiungendo nel giugno del 2014 l’ambizioso obbiettivo di
iscrivere ben 4 nuovi portainnesti nel Registro Nazionale delle varietà. “Il cammino per arrivare alla valutazione delle
caratteristiche agronomiche tali da giustificare l’inserimento dei nuovi portinnesti nel Registro nazionale è stato molto lungo –
ricorda Scienza – All’inizio siamo partititi con spirito pionieristico, poche risorse e, quindi, limitate possibilità di valutare i
risultati della sperimentazione. La ricerca marciava molto a rilento fino a che, nel 2010, arriva un finanziamento importante
attraverso il Progetto Ager Serres, supportato da un consorzio di Fondazioni bancarie: il progetto di ricerca si
allarga da Milano alle università di Padova, Torino e
Piacenza, al CRA Vite di Conegliano e alla FEM di S. Michele all’Adige e i lavori subiscono una forte accelerazione che ci porta,
in soli 3 anni, alla valutazione finale di questi 4 portainnesti – chiamati della “serie M” da Milano, sede dell’Università
promotrice del progetto – per giungere, quest’anno, alla loro iscrizione nel Registro nazionale delle varietà”. A quel punto, si
poneva la necessità di trasferire al mondo produttivo i risultati della ricerca, diffondere tra le aziende questi portainnesti che
avevano mostrato in diversi ambienti performance nettamente superiori rispetto a quelli commerciali, e, nel contempo trovare nuove
risorse per portare avanti la ricerca. Serviva cioè un partner commerciale ed imprenditoriale in grado di saldare quel gap tra
ricerca e mercato che rimane una dei grandi problemi irrisolti del nostro Paese.
L’anello mancante, arriva presto: in meno di tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei nuovi portainnesti, 9 aziende
vinicole di primaria importanza (Ferrari, Zonin, Bertani Domains, Albino Armani, Banfi, Nettuno-Castellare, Cantina Due Palme,
Claudio Quarta vignaiolo e Cantine Settesoli), che rappresentano le principali regioni viticole italiane dalle Alpi alla Sicilia,
danno vita – insieme ad una società di supporto, la Bioverde Trentino, ed alla Fondazione di Venezia – a Winegraft, società nata
con lo scopo di supportare la diffusione dei risultati della ricerca e finanziarne la prosecuzione. Sul piatto, mezzo milione di euro,
che le aziende hanno messo a disposizione delle Università per i prossimi anni del progetto che ha di fronte un planning di sviluppo
fino al 2030.
Expo 2015 – Milano, 27 giugno 2015 “Circa 600 talee di “portainnesti M” sono partite nelle scorse settimane dagli impianti della Vivai Cooperativi Rauscedo alla volta delle Università di Bordeaux e Rioja che hanno chiesto di poterli innestare con i principali vitigni delle due grandi regioni viticole europee, per avviare una nuova fase di studio e sperimentazione sui loro territori”. A dare la notizia dell’importante riconoscimento internazionale conquistato dallo studio avviato negli anni 80 all’Università di Milano, sono stati il prof. Attilio Scienza, esperto di fama mondiale e promotore della ricerca sui portainnesti, e Marcello Lunelli, presidente di WINEGRAFT srl, la start-up promossa da nove primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane (Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino) per supportare anche finanziariamente lo sviluppo della ricerca. “L’interesse che i nuovi 4 portainnesti della serie M hanno suscitato nelle università di Bordeaux e Rioja – ha sottolineato Scienza – conferma la validità di un progetto di studio che è tornato ad occuparsi delle “radici” della vite dopo oltre un secolo di disinteresse da parte della scienza e del mondo produttivo”. Tempranillo, in Spagna, Cabernet e Merlot in Francia saranno i vitigni che troveranno dimora nei vigneti sperimentali di prossimo impianto in autunno con la nuova generazione di portainnesti, destinati a sostituire quelli attualmente utilizzati “che stanno mostrando forti limiti alle pressioni del cambiamento climatico oltre a dare segni di deperimento veloce – continua Scienza – Mentre l’M1 e l’M3, per lo loro basse rese, si presentano come ottime alternative per una viticoltura di qualità in stile bordolese, così come l’eccellente capacità di resistenza alla siccità farà dell’M4 una risorsa preziosa per i vigneti del Rioja”. L’interesse mostrato da questi centri internazionali di eccellenza nella ricerca viticola “costituisce un doppio riconoscimento di cui dobbiamo andare fieri – ha commentato Marcello Lunelli, presidente di WINEGRAFT – perché premia sia i risultati della ricerca dell’Università di Milano sia il modello virtuoso di collegamento università-impresa interpretato da WINEGRAFT grazie al quale i prodotti della ricerca sono diventati accessibili ai produttori e disponibili sul mercato nel giro di poco tempo”. Quante volte abbiamo visto frutti di ricerche anche importanti rimanere chiusi nei laboratori o nelle università. “Una cosa è produrre un portainnesto e lasciarlo nelle collezioni dell’università, ma tutta un’altra storia è produrlo e renderlo disponibile per le imprese, come abbiamo fatto noi grazie alle aziende riunite in WINEGRAFT: una rivoluzione!”, ha voluto sottolineare ancora Scienza. Ed è stato questo duplice aspetto “virtuoso” a conquistare viticoltori e ricercatori di Bordeaux e Rioja: la possibilità cioè di sperimentare un portainnesto che diventa rapidamente disponibile per l’impianto. Tant’è che, in fila c’è già la Borgogna che ha fatto richiesta di impiantare vigneti sperimentali di “M” ... Una sperimentazione che, se avrà successo, aprirà un mercato straordinario per i nuovi portainnesti firmati UniMi e WINEGRAFT, commercializzati in esclusiva mondiale dai Vivai Cooperativi Rauscedo e garantiti, dal punto di vista sanitario e della corrispondenza genetica delle barbatelle, dal laboratorio di IpadLab. Un bel successo della ricerca e di un innovativo “business-research model” italiano celebrato nell’anno di Expo …
settembre 2017 In una delle estati più calde e siccitose degli ultimi 150 anni, arriva dalla ricerca scientifica una buona notizia per i vigneti: nuovi portainnesti che ottimizzano l’utilizzo dell’acqua, resistono agli stress idrici e riducono, in media, del 30% i consumi del prezioso elemento. Sono i “portainnesti M”, frutto del progetto di ricerca dell’Università di Milano supportato dalle imprese vitivinicole riunite in Winegraft, che offrono una prima risposta concreta ai cambiamenti climatici e al tema della water footprint nel vigneto per una diversa sostenibilità, anche economica, della viticoltura. I primi risultati della sperimentazione avviata da alcune aziende in varie regioni italiane, su diversi vitigni innestati con gli M, hanno portato a scoprire una eccezionale capacità di resistenza allo stress idrico di questa nuova generazione di portainnesti che, grazie ad un utilizzo biochimico più efficiente dell’acqua, mostrano un consumo nell’intero ciclo vegetativo minore del 25-30% rispetto ai portainnesti tradizionali, a parità di condizioni pedoclimatiche e di vitigno, senza perdere in quantità e qualità produttiva. Tradotto in numeri, se consideriamo una produzione media ad ettaro di 120 q.li uva per 85 hl vino, con un consumo annuo di acqua, secondo i calcoli dell'associazione Water Footprint Network, di 81.600 hl, con l’utilizzo degli M si risparmierebbero 24.500 hl di acqua ad ettaro ogni anno. Significa che, ad esempio, se tutti i vigneti della Lombardia – che nel 2016 hanno prodotto 1,47 mln di hl di vino - fossero innestati sugli M, si risparmierebbero ogni anno 426 mln di hl di acqua, pari a due volte e mezzo il lago d’Iseo. Un risparmio considerevole, ambientale ma anche economico. “Il primato nella water footprint dei portainnesti M – ha commentato il presidente di Winegraft Marcello Lunelli, vice presidente di Cantine Ferrari - testimonia efficacemente quanto stiamo sostenendo da tempo e cioè che, investire in sostenibilità ambientale produce effetti positivi diretti anche nella sostenibilità economica delle imprese”. I recenti sviluppi della ricerca portata avanti dall’equipe dell’Università di Milano, supportata da Winegraft, collegati all’analisi dei risultati degli impianti dei vigneti sperimentali, hanno permesso di individuare con precisione il meccanismo che aiuta il risparmio idrico dei portainnesti. “La capacità di resistere agli stress idrici e quindi mantenere vigoria con carenza d’acqua è ottenuta attraverso due strategie diverse dai portainnesti M2 e M4 – illustra Attilio Scienza, studioso di viticoltura di fama mondiale e animatore del progetto di ricerca – Il primo ha un’ottima capacità di esplorare il suolo, anche in profondità, riuscendo ad accedere a riserve idriche che altri genotipi non riescono a raggiungere, combinato ad un minor vigore indotto alle viti e pertanto un minor fabbisogno idrico. L’M4, invece - continua Scienza - ha mostrato meccanismi di maggior efficienza nell'uso dell'acqua, in particolare in condizioni di stress idrico. Le piante innestate sull’M4 riescono ad avere un'attività fotosintetica elevata anche con poca acqua, senza dissipare la risorsa, ma aumentandone l'efficienza d'uso. Insomma, minori consumi di acqua per elevati standard produttivi sia in quantità che qualità”. I risvolti di questi sviluppi della ricerca saranno fondamentali per il futuro della vitivinicoltura italiana e mondiale. “Il processo di riscaldamento globale – spiega ancora Attilio Scienza - sposterà gradualmente nei prossimi trent’anni la viticoltura mondiale verso le zone più fresche del pianeta. Nel nostro paese, in particolare, assisteremo alla migrazione dei vigneti dalle zone costiere verso le aree collinari, sia nelle due grandi isole sia negli Appennini, che presenteranno una condizione climatica complessiva più favorevole, dovuta alla disponibilità di acqua. I portainnesti M saranno indispensabili per accompagnare questo percorso, abituare i viticoltori al cambio di regime idrico permettendo di mantenere la produzione viticola nelle aree che subiranno gli effetti maggiori del cambiamento climatico. Non si potrà cambiare improvvisamente il modello viticolo interrompendo la produzione in questa fase di passaggio. Gli M aiuteranno il viticoltore nel processo di delocalizzazione permettendogli di non interrompere il ciclo produttivo e rimanere sul mercato”. E dai laboratori dell’Università di Milano, grazie al “ponte” tra ricerca e mercato attivato da Winegraft, i portainnesti M sono arrivati, lo scorso anno per la prima volta sul mercato. Nei prossimi mesi Vivai Cooperativi Rauscedo - che moltiplica e commercializza in esclusiva mondiale gli “M” - renderà disponibili per la seconda campagna di impianto oltre 200 mila di barbatelle di vari vitigni – tra cui Glera, Chardonnay, Cabernet Sauvignon, le Corvine, Montepulciano, Sangiovese e Primitivo - innestate con gli M.
Winegraft srl nasce nell’agosto del 2014 ad opera di un gruppo di primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane - Ferrari,
Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare,
Cantine Sette Soli - insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino (azienda di supporto tecnico per la gestione del vigneto)
con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo della innovativa ricerca portata avanti dall’Università di Milano, sotto il coordinamento
del prof. Attilio Scienza, su una nuova generazione di portainnesti per la vite.
Con un capitale di circa mezzo milione di Euro e attraverso lo spin-off di IpadLab, società specializzata nel campo della
fito-diagnostica leader a livello internazionale che avrà anche il compito di monitorare la sanità e la corrispondenza genetica delle
barbatelle prodotte con questi portinnesti, Winegraft finanzia e rilancia il lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Milano
che dagli anni ’80 sta lavorando sui nuovi “portainnesti M”. Si organizza, così, un innovativo sistema virtuoso di collaborazione tra
università, aziende e mercato che permetterà alla ricerca di finanziarsi con i proventi derivanti dalla commercializzazione dei
nuovi portainnesti affidata, in esclusiva mondiale, ai Vivai Cooperativi Rauscedo.
Così il presidente di Winegraft Marcello Lunelli, vice presidente di Cantine Ferrari, spiega l’originale meccanismo che è
riuscito a chiudere, per la prima volta nella storia del nostro Paese, il famoso circolo “università/ricerca-impresa/mercato”:
“i diritti su questi portinnesti saranno esercitati da uno spin-off dell’Università di Milano, l’IpadLab, mentre i Vivai Cooperativi
di Rauscedo si occuperanno della sviluppo industriale, dalla moltiplicazione alla commercializzazione del materiale vivaistico in
tutto il mondo. Le royalty provenienti dalle vendite garantiranno la continuazione del progetto di ricerca”, una collaborazione, ha
sottolineato il prof. Attilio Scienza “tra Winegraft e Università di Milano che consentirà di sviluppare nei prossimi anni nuovi
portinnesti anche utilizzando tecniche diagnostiche molecolari innovative”.